Festa doveva essere e festa è stata! La classica nebbia mattutina del lago ha accolto gli oltre 700 iscritti al giro podistico del lago e gli oltre 130 handbikers.
Starter d’eccezione la stella mondiale del nuoto paralimpico Federico Morlacchi, vincitore a Rio di una medaglia d’oro e tre d’argento e già protagonista alle Paralimpiadi di Londra 2012 dove conquistò 3 medaglie di bronzo, affiancato dall’Assessore allo Sport del Comune di Varese Dino De Simone.
Dopo pochi chilometri il sole ha preso il sopravvento ed è stata una bellissima mattinata autunnale.
La chiusura del traffico veicolare è uno dei punti di forza della manifestazione. Per una mattina la strada è ad uso e consumo dei runners e delle handbike, con buona pace degli automobilisti.
Per gli organizzatori, il Gruppo Aziendale Maratoneti della Whirlpool e POLHA-VARESE, coadiuvati da AFRICA&SPORT e Comune di Varese, la soddisfazione nelle parole del direttore gara Luciano Rech: “Era l’edizione del rilancio dal punto di vista organizzativo. Pensiamo di aver centrato l’obiettivo. Un grazie a tutti gli sponsor, alle istituzioni ed ai volontari che hanno reso possibile il tutto. Ora sotto a sistemare alcuni dettagli e già pensiamo al 2017”.
Per la parte handbike, pochi dubbi sulla qualità della manifestazione giunta alla 11° edizione. “E’ stato bello vedere così tanti partecipanti alla 3 Ruote Intorno al Lago, manifestazione impreziosita quest’anno dalla presenza degli atleti paralimpici appena rientrati da Rio”, così laPresidentessa della POLHA Daniela Colonna Preti.
Classifica Open Assoluta Handbike Uomini: 1) Paolo Cecchetto (Team Equa) 36’23” nuovo record
della gara, 2) Federico Mestroni (VC Sommese), 3) Athos Libanore
La gara podistica vede la vittoria al femminile di Gloria Giudici (Free-Zone, 1:38:37) su Sabrina Ambrosetti (Runners Valbossa Azzate, 1:40:56) ed Elisabetta Di Gregorio (1:47:03). Al maschile assolo di Loris Mandelli (Pol. Carugate, 1:25:30) su Stefano Bianco (Amatori Atl. Casorate, 1:26:47) e Manuel Molteni (G.S. Villa Guardia).
Trofeo Arcelli che va al vincitore del Campionato Provinciale di Mezza Maratona che vede trionfare il già citato Stefano Bianco. Tra le staffette è stata bella la presenza di due atleti del team Run2gether, Pauline Eapan e Wilson Meli, ospiti ad Azzate dell’associazioAFRICA&SPORT, che hanno corso al fianco delle famiglie che li ospitano in questo periodo. Un gesto di amicizia e di riconoscenza.
(tratto da www.girolagovaresexdisabili.it, comunicato stampa dopo la gara odierna 25/09)
Sono passati 50 anni. Eppure il ricordo vivo di chi assistette alla Tre Valli, una di quelle corse “in casa”, a Cuvio, è ancora vivissimo.
Per questo proponiamo per intero il racconto vergato da Giorgio Roncari, scrittore e storico locale che ben spiega cosa rappresentasse questa competizione – e cosa ancora sia – per i tantissimi amanti di questo sport.
Come ogni anno moltissime persone in Valcuvia seguiranno la gara dando vita ad una vera e propria manifestazione collettiva d’affetto per questo sport e per i suoi interpreti. Non ci sarà la “fiumana” descritta da Roncari, ma questa corsa il cuore ancora lo fa battere.
Sulla scorta delle forti salite e delle vigorose pedalate che da decenni si susseguono in queste valli, numerose sono le testimonianze legate all’agonismo che già da giovani molti ragazzi da queste parti praticano con onore e dedizione (AC).
Negli anni Sessanta e Settanta a Cuvio fu piazzato l’arrivo della classica di ciclismo “Tre Valli Varesine” kermesse che diede al paese risalto internazionale.
La prima volta fu nell’estate del ’66 e venne trasmessa dalla RAI col commento di Adriano De Zan. Si corse il 7 agosto ma l’eccitazione era palpabile già da tempo: mai era successo che questa corsa terminasse in Valcuvia, la terra del grande Binda. La competizione era sponsorizzata dalla ‘Monier Amaro’, specialità prodotta da un liquorificio di Brunello e la settimana prima della corsa, la strada provinciale del paese, per lungo tratto, venne inondata da scritte che reclamizzavano quest’elisir; ce n’era una ogni venti metri e rimasero visibili per mesi e mesi.
La partenza fu data davanti ai capannoni della ‘Monier Amaro’, a Brunello, sotto un cielo grigio; poi si doveva effettuare un tragitto lunghissimo, circa 280 km, pedalando attorno al lago di Varese e quindi in Valcuvia con un circuito da ripetersi dodici volte, salendo da Rancio al Brinzio e, ritornando da Cabiaglio, a Cuvio, dove l’arrivo era posto all’altezza del cimitero vecchio di Bofalora, oggi ‘Centro Sportivo’. Fu una ‘Tre Valli’ tutta italiana con una novantina di partecipati; pochissimi gli stranieri. C’erano Motta, vincitore dell’anno prima e del Giro, Dancelli campione d’Italia e conquistatore della Freccia Vallone, Gimondi, dominatore della Parigi-Roubaix, e poi Zilioli, eterno secondo, Bitossi cuore matto, Taccone, il camoscio della Maiella. Fra i varesini c’era grossa attesa per ‘Pep’ Fezzardi, nel giro della nazionale.
Quando la corsa giunse in Valcuvia, comparve un sole afoso che cominciò a cuocere i ciclisti e la gente affollata sul percorso, numerosissima, forse più di centomila, alla ricerca di ombra, acqua e cappelli di paglia. Il Brinzio si dimostrò duro e il gruppo, fin lì compatto, si sgretolò giro dopo giro tanto che al traguardo si presentarono solo in sei: Zilioli, Motta, Taccone, Dancelli, Bitossi e Vicentini, un giovane quasi sconosciuto ai più, ma che da dilettante aveva conquistato il titolo iridato nel ’63. Dopo la curva del Bevilacqua, Dancelli lanciò la volata ma Motta, suo capitano, lo saltò e andò a vincere a mani alzate. Si trattò però di un successo contestato perché Zilioli, approfittando della distrazione di Motta, in rimonta lo passò: prima o dopo il traguardo? C’era la TV ma non il fotofinish ed il giudice assegnò la vittoria a Motta respingendo un reclamo della ‘Sanson’, per la soddisfazione della nonna di Motta, vecchietta arzilla che firmò autografi a tutti.
Fu una corsa dura, ad eliminazione, durata più di sette ore e conclusa da soli 42 ciclisti. Il giorno dopo sui giornali, le cronache scrissero di ‘finale giallo-rosa a Cuvio, con l’ombra di Zilioli sul successo di Motta’. Erano, infatti, molti quelli che avevano visto la ruota dell’Italo sfrecciare davanti, e le foto parevano confermare, fra questi l’inviato de ‘La Prealpina’ e anche chi scrive, presente sulla linea d’arrivo, praticamente sdraiato sotto l’intelaiatura del palco d’onore.
Dopo questa storica ‘Tre Valli’, ci furono gli anni dedicati al nascente ciclismo femminile che viveva, a quei tempi, sulle sfide fra Morena Tartagni ed Elisabetta Maffeis, con la gente della valle a tifare per la cavonese Pinuccia Banchini.
Poi tornò la ‘Tre Valli’ per volontà dei fratelli Umberto e Bernardo Mascioni, industriali locali. Per tre anni la classica varesina, organizzata sempre dalla società ‘Binda’ di Varese, partì davanti agli stabilimenti ‘Mascioni’ e arrivò in paese. Il ritorno del ciclismo professionista avvenne nel ’72, il 29 luglio, un sabato.
Il percorso non era particolarmente duro: una sgambata attorno al lago di Varese e quindi il circuito valcuviano Cuvio, Orino, Gemonio, Cittiglio, Cuvio, da farsi una dozzina di volte. Il traguardo era posto davanti al garage Bevilacqua. Poteva essere la corsa dei velocisti, ed infatti erano presenti Basso e Zandegù, i due rivali italiani che infiammavano le folle, ma anche i belgi Sercù e Roger De Vleminck.
C’erano anche i fratelli Pettersson, passisti svedesi che fra i dilettanti avevano vinto di tutto e poi i più popolari campioni italiani. Tra i varesini il più motivato era Miro Panizza convocato per il mondiale di Gap. Ci fu la diretta del primo canale della Rai. Vinse Giacinto Santambrogio con una ventina di secondi su Basso che regolò il plotone e la settimana dopo soffierà, in una drammatica e storica volata, il mondiale a Bitossi.
Quella del ’73 fu la ‘Tre Valli’ più prestigiosa disputata a Cuvio perché assegnò il titolo di Campione d’Italia. Fu studiato un percorso nervoso, con varie salite, che andava a toccare tutte le valli dell’alto Varesotto. Dopo il consueto giro attorno al lago di Varese, passaggio dal capoluogo e giù per la Valceresio fino a Porto e Ponte Tresa, poi il Marchirolo, Grantola e Germignaga, su a Brezzo fino a Nasca e di nuovo salita sul S. Antonio, discesa da Arcumeggia, Cittiglio e ancora a Varese per tornare, via Cabiaglio, a Cuvio dove, per finire, c’era il circuito che saliva dal Brinzio, da fare quattro volte: in tutto 257 km. Essendo in palio il titolo italiano tutte le squadre avevano portato i loro campioni. Fra i favoriti Gimondi, campione uscente, Bitossi, in grande forma e il solito Motta; si aspettavano i giovani rampanti, Battaglin, Francesco Moser, Bertoglio, e fra i varesini, il neoprofessionista Luciano Borgognoni, iridato nell’inseguimento a squadre nel ’71, e naturalmente Panizza che ci teneva a vincere il titolo nella sua terra. C’erano anche Basso e Gavazzi ma non pareva una corsa per sprinters.
Si corse domenica 24 giugno fra la solita fiumana di tifosi entusiasti. Sul S. Antonio Lanzafame, di Cassano Magnano si aggiudicò il Gran Premio della montagna messo in palio da Renato Berti. Arrivarono in nove e sul traguardo, posto davanti a Centro Sportivo in Bofalora, Enrico Paolini la spuntò di un niente su Marcello Bergamo e sul mai domo Zilioli, Paolini era allora un corridore poco conosciuto dal grande pubblico ma avrà modo di rivincere altre due volte il titolo.
L’ultima volta che la classica varesina trovò ospitalità a Cuvio, fu il 10 agosto ’74, sabato di S. Lorenzo, e fu la più corta delle quattro edizioni con 242 km. Partenza sempre dalla Mascioni e consueto giro del lago di Varese fino alla Schiranna, poi Gavirate, Caldana, Cuvio, Grantola, su per il Montegrino e giù a Luino, Castelveccana, ascesa anche stavolta al S. Antonio, Arcumeggia, Cuvio e, per concludere, un circuito da ripetersi sette volte con il Brinzio da fare in discesa, richiesta fatta dal DS, Nino Defilippis, per rendere il percorso similare a quello dell’imminente mondiale di Montreal.
Quasi cento erano gli iscritti, c’erano tutti i campioni italiani ma non c’era un favorito, si parlava di Gimondi, campione del mondo (che poi si ritirò), di Battaglin, Paolini, ma anche di qualche outsider. C’era pure una buona schiera di varesini agguerriti: Panizza, Borgognoni, Lanzafame, Sorlini, Caverzasi e Lualdi.
L’arrivo era in leggera salita, sulla strada per Comacchio e fu il lecchese Tino Conti che andò a cogliere la vittoria più importante della sua carriera distaccando di un minuto Santambrogio, e di due Paolini, Panizza e Borgognoni festeggiatissimi. con quest’ultimo atto si concludevano i giorni memorabili delle ‘Tre Valli’ a Cuvio.
Nei mesi successivi si parlò di Giro d’Italia: ci furono contatti, si dissero cose grandi per l’immediato futuro: tre giorni di festa con un arrivo in paese, una cronometro il giorno successivo sulle strade della valle e la partenza il terzo. Tutto però rimase un sogno. Anni dopo, nel ’90, si corse al Sacro Monte una cronometro da tregenda sotto la bufera che consegnò il giro a Bugno e più tardi, nel ’95, ci fu un arrivo a Luino con un Chiappucci scatenato ma bruciato dal russo Berzin.
A Cuvio però, il rutilante e variopinto mondo del ciclismo, con le fiumane di tifosi, le code frastornanti delle ammiraglie strombazzanti, le mischie per impossessarsi di un gadget, un cappellino o una borraccia, le confusioni attorno ad un campione per un autografo, i giornalisti in cerca di scoop o curiosità di colore, a Cuvio, dicevamo,non si videro più.
(tratto da www.varesenews.it, edito da Giorgio Roncari)
La società di casa nostra Blu Volley si prepara al suo undicesimo anno di attività che prenderà il via come al solito il prossimo autunno, dividendosi tra gli impegni FIPAV e quelli PGS.
Mentre ora ci si gode il periodo delle vacanze e del meritato riposo, il direttivo ha gettato le basi per la prossima stagione, introducendo alcune novità: anzitutto, come era già stato preannunciato al termine della scorsa stagione, una sorta di “autodeterminazione” lasciata alle atlete per scegliere di impegnarsi in un settore piuttosto che nell’altro, in considerazione del diverso impegno richiesto, evitando così che le ragazze possano essere impegnate nell’uno e nell’altro, fermo stante che sarà poi premura dei responsabili verificare un possibile cambiamento di settore dell’atleta a metà stagione. Necessità da sempre avvertita da allenatori e staff, Blu Volley tornerà ad avere un preparatore atletico che seguirà scrupolosamente la prima preparazione fisica delle ragazze iniziandole così al lato strettamente agonistico della stagione. Da ultimo, l’ingresso nello staff tecnico di due nuove figure, Roberto e Pietro, provenienti da Luino, per affiancarsi allo ‘zoccolo duro’ degli allenatori permettendo così una maggiore “duttilità” dei nostri volontari.
Rimane ferma la possibilità per taluni che già collaborano con la società di continuare o intraprendere un percorso di formazione/aggiornamento per migliorare la propria preparazione con corsi specifici, perseguendo così una filosofia che da sempre è alla base di Blu Volley, quello della formazione continua, affiancandosi così agli allenatori in ruolo.
Se ancora non ce n’era stata prova, soprattutto nelle fasce del mini e giovanile (u13) Blu Volley godrà di nuovi inserimenti provenienti da paesi limitrofi, a chiara dimostrazione della bontà .. e del seminato del progetto iniziato dieci anni a nuovi arrivi che si spera non sovraffollino un ambiente già “vivo”.
Un “intangibile” dall’esterno ma comunque significativo accorgimento pure per quel che riguarda gli allenamenti, dal momento che dalla prossima stagione saranno organizzati in ragione “di gruppi” e non “di squadre”: ciò vuol dire che saranno ottimizzati in maniera tale che, a seconda del settore, le piccole si alleneranno con le più grandi permettendone in questo modo, contemporaneamente alla normale seduta di training, una crescita anche tecnica.
La stagione agonistica sarà preceduta da alcuni giorni di camp residenziale (29, 30, 31 agosto) alla palestra di Gemonio e poi dal 2 al 5 settembre altra sessione di ritiro a Baselga di Piné (TN), a conferma della location già scelta l’anno scorso, sposando con ciò i benefici effetti che un’esperienza di ritiro possa avere su un gruppo sportivo.
Infine, dalla settimana successiva, il via alla stagione 2016/17 per tutti.
E’ sotto gli occhi di tutti che in quasi trent’anni l’Atletica da regina di tutti gli sport è scaduta a Cenerentola, io stesso due anni fa ho dovuto appendere la penna al chiodo non essendoci più alcuna testata sportiva disposta a concederle anche solo mezza pagina, eppure si sono succeduti alla sua guida tre Presidenti diversi e settanta consiglieri in ben sette legislature.
Per stabilire una diagnosi e proporre una terapia occorre aver presente l’anamnesi del “paziente”. Negli anni ’50 tutta l’Italia era in fase di espansione, gli sport praticati erano pochi e l’atletica era la base di tutti gli sport. Negli anni ’60 le grandi aziende italiane investirono nell’atletica assumendo gli atleti come dipendenti, avevano il permesso retribuito per gli allenamenti e per le partecipazioni alle gare nazionali e internazionali; al termine della carriera, se lo volevano, restavano in azienda. La crisi energetica degli anni ’70 pose termine a questa “pacchia”, che venne sostituita dal “dilettantismo di Stato” come nei paesi sovietici, cioè gli atleti migliori vengono arruolati dai Corpi Militari e anziché fare i carabinieri, i poliziotti, i finanzieri, i soldati, i forestali, gli avieri e le guardie carcerarie, praticano il loro sport olimpico, è il sistema ipocrita escogitato dallo Stato per finanziare lo sport più o meno “dilettantistico”.
Questo sistema in oltre trent’ anni ha provocato il depauperamento delle società “civili” con relativa demotivazione e conseguenti disinvestimenti, la Federazione potendo contare su un gruppetto di atleti che, comunque, a livello internazionale riusciva ancora ad ottenere qualche risultato, si accontentò della situazione non rendendosi conto che in questo modo si sarebbe asciugato il bacino dei praticanti, è come curare il delta del Po senza pensare alla sorgente di Pian del Re.
Oggi non vale neanche più questa motivazione, gli atleti si dannano l’anima per passare al “posto fisso” e poi si accontentano di ottenere il punteggio tabellare minimo per non essere “congedati”.
C’è poi da considerare che nel 2012 la Spending Review ha portato ad un ridimensionamento sostanziale degli organici dei Corpi Militari, che si presentano alle prossime elezioni con solo il 2% dei voti totali, è dunque finito, forse, il dilettantismo di Stato, o, almeno, non ha più grande importanza.
La base di ogni Federazione è il VIVAIO, il CONI ha creato un sistema teoricamente valido, col riconoscimento degli Enti di Promozione che devono affiancare le Federazioni nell’avvicinare i giovani alla pratica sportiva.
Negli anni d’oro era così, soprattutto il CSI svolgeva una valida azione di supporto alla Federazione, è irrinunciabile creare le Scuole di Atletica Leggera come ci sono le Scuole di Calcio, le Società maggiori dovrebbero stipulare delle Convenzioni con le Società minori e gli EPS per lo sviluppo del Settore giovanile; il MIUR e la FIDAL, anziché sprecare le poche risorse nei Giochi Sportivi Studenteschi, che coinvolgono soprattutto già tesserati, per l’atletica o per il calcio, dovrebbero dedicarsi alla Promozione di base, cominciando dalle scuole elementari interessando prima di tutto all’attività fisica e poi insegnando a poco a poco ad amare l’atletica e soprattutto quello che essa rappresenta dal punto di vista culturale: impegnarsi e sacrificarsi per il raggiungimento di un obbiettivo nobile ed appagante.
In realtà per quanto riguarda l’Atletica assistiamo a una stortura gravissima conseguente ad un altro fenomeno colpevolmente sottovalutato e quindi trascurato dalla FIDAL, IL PODISMO.
Esattamente la data di nascita è il 2 dicembre 1973, prima domenica di blocco del traffico automobilistico a causa della crisi energetica, nacque spontaneamente e ben presto fu un successo, nessuna regola, solo premio di partecipazione o un piatto di agnolotti e un bicchiere di vino.
Ma ben presto ci fu chi cominciò a dare i premi ai primi arrivati, poi ci fu chi disse “bella forza lui ha 30 anni e io 50, non è leale” e così si passò alla prima divisione in categorie: Amatori fino ai 40 anni e Veterani oltre, ma non bastava ancora, si passò alla divisione in dieci e poi in cinque anni con premi sempre più numerosi e conseguente lievitazione delle spese per l’organizzatore.
Nel 1982 uscirono le norme sulla tutela sanitaria con obblighi diversi per chi pratica sport agonistico e chi no, lo Stato fu costretto a regolamentare il fenomeno e chiese l’intervento del CONI che stabilì che la FIDAL è soggetto istituzionale designato all’organizzazione e al controllo delle manifestazioni competitive – agonistiche di atletica leggera sul territorio italiano (D. lgs n. 242/99).
C’erano però anche gli Enti di Promozione Sportiva che organizzavano manifestazioni nominalmente non agonistiche, ma con modalità competitive; si formarono quindi due “mercati” paralleli i cui confini furono sempre più vicini e sfumati fino a sovrapporsi e fu l’inizio del caos.
Le condizioni meteo degli ultimi giorni non promettevano nulla di buono per la ‘trasferta’ di oggi, con una degli appuntamenti più impegnativi del calendario (in cui dunque il tempo farebbe la differenza !).
Giornata uggiosa, nonostante qualche barlume che facesse ben sperare fino mezzora prima della partenza, a fare da sfondo alla 20^ edizione della ‘Caminava dei Sass’ di Mercallo, appuntamento che anticipa la sosta in occasione dell’evento ‘Giro del Lago di Varese‘.
Nonostante il percorso accattivante, particolarmente muscolare nella prima parte che porta alla parte più alta del percorso odierno, e cangevole quasi annualmente,
la tappa di Mercallo mi ha sempre affascinato per il suo profilo e andamento … pur incutendomi ‘timore’ perché non si sa mai cosa propone l’organizzazione nello sviluppo della gara !
Percorso a memoria immutato – salvo qualche variante nella parte iniziale , metà asfalto e metà sterrato/bosco circa.
Ritrovo la Lory, il Massimo Fontana, gli amici della Mezzanese (“oggi disimpegnati”) e poi Roberto Clerici dell’Amatori Atletica Gavirate; saluto Omar Spoti Soxj poi, mentre continuano ad affluire i partecipanti, intravedo anche Guseppe Ramundo (rientrante dopo ferie e mezza di Monza).
Partenza dalla centrale piazza del paese e via in saliscendi; battute qualche centinaia di metri su questo gradevole curva-controcurva da cui, in condizioni ottimali, si potrebbe ammirare un panorama del lago di Comabbio (!!), vengo sverniciato dall’Omar che “si beve tutto d’un fiato il possibile” (per poi tallonarlo fino alla fine!!…) . Nel giro di poco più di un chilometro eccoci ad affrontare la parte boschiva del tracciato, non di facile interpretazione proprio perché sale … e sale ! Io poi devo fare i conti che la condensa sugli occhiali che mi offusca di vedere appieno il fondo sicché questo tratto come il successivo in discesa lo devo fare con attenzione.
A memoria il passaggio boschivo non impegna oggi così come ricordavo, probabilmente perché, in considerazione del tempo di giornata poco clemente, hanno inserito una variazione sul “tema”. Ecco così che riguadagnato dopo poco l’asfalto e l’abitato affrontiamo una gradevole tornata su erba che scende a tornanti per poi, dopo un breve tratto su asfalto, uno similare il quale inizia con una brusca salitella – qui affianco in progressione la Lili che mi guarda quasi sbigottita ! … -, quindi una breve scalinata (sarà la moda dell’annata del PO questa !!).
Recuperiamo così la zona di partenza ridiscendendo dalla parte retrostante – sempre su e giù -. Siamo nei pressi del quarto chilometro quando si torna nei pressi della zona di partenza ridiscendendo verso le scuole elementari del paese .
Qui – siamo sempre in progressiva discesa – sulla “chicane” che passa proprio dinanzi al cancello delle scuole, complice al pioggia, ho un attimo di sbandamento – effetto acquaplanning – passando ingenuamente su di un tombino non visto … Intanto vengo affiancato dall’amico Samuele con il quale condividerò il resto dei km.
Percorriamo poi il lungo rettilineo che fino a un paio di edizioni fa era il rettifilo che conduceva al traguardo.
Ancora leggera salita che immette poi verso la parte bassa del paese. Passaggio nei campi adiacenti alla bretella stradale prima e nei boschi limitrofi poi, prima di recuperare l’asfalto lungo una via parallela alla zona parcheggi, quindi risalita piuttosto (piacevolmente) arzigogolata che immette infine sulla piazza dove è posto il gonfiabile.
Soddisfatto della gara odierna e sommariamente anche del crono fermato, per come l’ho interpretata nonostante le condizioni avverse della prima parte di gara.
Ci stiamo leccando le ferite dalla batosta presa a Rio, ci stiamo arrovellando per capire il futuro della nostra Fidal senza capirci nulla, stiamo dando le colpe a tutti e a nessuno, insomma facciamo le classiche chiacchiere da bar, come quelle che si fanno tutti i lunedì mattina per commentare la giornata di calcio appena conclusasi.
Ora proviamo a fare un salto indietro nel tempo: siamo al 26 agosto 1986, esattamente 30 anni fa, in un Neckarstadion di Stoccarda tutto esaurito, 67.000 spettatori (due anni dopo il Napoli di Maradona e Careca vi avrebbe vinto la Coppa Uefa). In questo stadio si disputarono anche i mondiali di atletica del 1993. Dopo la ristrutturazione si chiama Mercedes-Benz Arena, e ahimè non ha più la pista.
Quel giorno di 30 anni fa pioveva, non molto, solo una pioggerella leggera che dava ristoro a chi doveva correre per una mezz’ora o poco meno, diciamo 28 minuti. Già, il tempo giusto per correre un buon 10.000. Si partiva per portare a casa il titolo continentale. C’erano tre atleti con la maglia azzurra: Alberto Cova, il ragioniere, già capace della tripletta europei-mondiali-olimpiade, Salvatore Antibo il giovane sgraziato che corre di forza e cuore, e Stefano Mei il longilineo con addosso tanta rabbia che se esplodesse lo sentiremmo fin qui in Italia. Un lombardo, un siciliano e un ligure, un mix perfetto per unire le forze e far saltare il banco. Tra di loro non c’era amicizia, a malapena si scambiavano qualche parola di circostanza e ognuno correva per conto proprio senza gioco di squadra. E forse è questa la chiave di lettura di quel successo, la voglia di prevalere gli uni sugli altri. 27’56”79 il tempo di Stefano Mei che in una volata partita ai meno 300 dalla fine lascia dietro nell’ordine Alberto Cova e Salvatore Antibo. Appena dopo il traguardo i primi due si scambiarono una gelida stretta di mano; Cova guardava nel vuoto mentre Mei andava a gioire da Federico Leporati, il suo allenatore.
Si disse e si dice tutt’ora che quella fu la vittoria dell’atleta che cerca di prevalere sugli altri con le proprie forze senza ricorrere a strane pratiche. Si dice, perché di conferme non ce ne sono e anche lo stesso Cova si è trincerato dietro un “no comment” (clicca qui per l’intervista ad Alberto Cova).
Fatto sta che quella sera di trent’anni fa esultammo come poche altre volte, tre italiani ai primi tre posti di un 10.000 europeo: cose da non credere. Era il 26 agosto, proprio come oggi. Sono passati trent’anni, sono passati tanti campioni, sempre meno in casa Italia, sempre meno purtroppo.
“Caro Alex, lo sapevi che la tua medaglia d’oro ha dato un duro colpo allo sport nazionale? No, non il calcio. Il lamento. Essì caro Alex, come faremo ora a sostenere di non avere la possibilità di fare ciò che desideriamo? Come faremo, se tu continui a dimostrare che possiamo andare oltre i nostri limiti? Lo capisci o no che ci stai rendendo tutto più difficile? In questi anni la crisi ci aveva dato una mano… Tu lo sapevi che in Italia abbiamo un numero esagerato di “neet”? Sono i giovani che non studiano, non lavorano e neanche cercano un lavoro. Sono due milioni… E che fanno? Boh! Eppure in tv a parte il Grande Fratello e l’Isola dei Famosi non c’è più niente… Ah si, facebook… Caro Alex che ne sai tu. Ora non sarà facile per noi sostenere che hai successo solo se: sei di buona famiglia, se c’hai lo zio prete che ti raccomanda, se c’hai la famiglia che ti da soldi, se c’hai l’amico politico, se c’hai la chiave giusta, se hai le risposte del test di ammissione prima di aprire le buste, se hai qualcuno in commissione al concorso… Oppure devi essere un genio, ma capita ad uno su mille. Mica possiamo metterci a studiare o a lavorare tutto il giorno… Mica possiamo stare a consumarci il cervello per come riuscire ad andare oltre le difficoltà che abbiamo… Non siamo mica geni, non siamo nati mica nella Silicon Valley (hai visto che successo il libro “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli”? meno male, un po’ di conforto…). Caro Alex, ci hai fregato. Tu che hai iniziato con i kart per arrivare in formula 1. Tu che dopo 5 stagioni hai ricominciato tutto daccapo negli Stati Uniti in una formula minore, cos’hai trovato? Un incidente che ti ha portato via le gambe … Come hai fatto a non lasciarti andare? Dove hai trovato la forza? Dopotutto era così facile sentirsi una vittima del destino. Avresti avuto il nostro appoggio, la nostra compassione. Potevi arrivare all’apice del successo ma il destino ti ha portato all’inferno. Tutti ti avremmo creduto una vittima. E ci saremmo identificati in te. Saresti stato il nostro simbolo. “Vorrei ma non posso” questo è il nostro motto. E tu cosa vai a fare? Non ti arrendi… Ma perchè? Perchè vuoi turbare le nostre coscienze dimostrandoci il contrario? Vedo questa foto scattata nella gara che ti ha dato la medaglia d’oro: vedo i cordoli bianchi e rossi che accarezzavi con il tuo bolide a 300 all’ora in ogni curva del circuito… Come sei riuscito a rifarlo su quella sedia? Spingendoti con la forza delle sole mani… Dicci come hai fatto? Perchè a 46 anni non si va alle Olimpiadi, tutti ti avevano sconsigliato di provarci. “Sei troppo vecchio” dicevano, ma tu no, il solito testardo, il solito guastafeste che vuole dimostrare che si può andare oltre i propri limiti, anzi oltre i limiti che gli altri ti impongono. Caro Alex sei forte, ce lo hai fatto vedere… Ma ti rendi conto in che ci situazione ci hai messo ora???”
“Caro Alex,
lo sapevi che la tua medaglia d’oro ha dato un duro colpo allo sport nazionale?
No, non il calcio. Il lamento.
Essì caro Alex, come faremo ora a sostenere di non avere la possibilità di fare ciò che desideriamo?
Come faremo, se tu continui a dimostrare che possiamo andare oltre i nostri limiti?
Lo capisci o no che ci stai rendendo tutto più difficile?
In questi anni la crisi ci aveva dato una mano… Tu lo sapevi che in Italia abbiamo un numero esagerato di “neet”? Sono i giovani che non studiano, non lavorano e neanche cercano un lavoro. Sono due milioni…
E che fanno? Boh! Eppure in tv a parte il Grande Fratello e l’Isola dei Famosi non c’è più niente… Ah si, facebook…
Caro Alex che ne sai tu. Ora non sarà facile per noi sostenere che hai successo solo se: sei di buona famiglia, se c’hai lo zio prete che ti raccomanda, se c’hai la famiglia che ti da soldi, se c’hai l’amico politico, se c’hai la chiave giusta, se hai le risposte del test di ammissione prima di aprire le buste, se hai qualcuno in commissione al concorso…
Oppure devi essere un genio, ma capita ad uno su mille. Mica possiamo metterci a studiare o a lavorare tutto il giorno… Mica possiamo stare a consumarci il cervello per come riuscire ad andare oltre le difficoltà che abbiamo… Non siamo mica geni, non siamo nati mica nella Silicon Valley (hai visto che successo il libro “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli”? meno male, un po’ di conforto…).
Caro Alex, ci hai fregato.
Tu che hai iniziato con i kart per arrivare in formula 1. Tu che dopo 5 stagioni hai ricominciato tutto daccapo negli Stati Uniti in una formula minore, cos’hai trovato? Un incidente che ti ha portato via le gambe … Come hai fatto a non lasciarti andare? Dove hai trovato la forza? Dopotutto era così facile sentirsi una vittima del destino. Avresti avuto il nostro appoggio, la nostra compassione. Potevi arrivare all’apice del successo ma il destino ti ha portato all’inferno. Tutti ti avremmo creduto una vittima. E ci saremmo identificati in te. Saresti stato il nostro simbolo.
“Vorrei ma non posso” questo è il nostro motto. E tu cosa vai a fare? Non ti arrendi… Ma perchè? Perchè vuoi turbare le nostre coscienze dimostrandoci il contrario?
Vedo questa foto scattata nella gara che ti ha dato la medaglia d’oro: vedo i cordoli bianchi e rossi che accarezzavi con il tuo bolide a 300 all’ora in ogni curva del circuito… Come sei riuscito a rifarlo su quella sedia? Spingendoti con la forza delle sole mani… Dicci come hai fatto?
Perchè a 46 anni non si va alle Olimpiadi, tutti ti avevano sconsigliato di provarci. “Sei troppo vecchio” dicevano, ma tu no, il solito testardo, il solito guastafeste che vuole dimostrare che si può andare oltre i propri limiti, anzi oltre i limiti che gli altri ti impongono.
Caro Alex sei forte, ce lo hai fatto vedere… Ma ti rendi conto in che ci situazione ci hai messo ora???”
(domenica 11 settembre)
Da Monvalle (saltata) alle successive gare di settembre fino alla tappa di Cardana di Besozzo che apre l’ultimo mese della stagione 2016 del Piede d’Oro 2016, il calendario propone tutta una serie di tappe alquanto impegnative: Taino di domenica scorsa, Mercallo di domenica prossima, la citata Cardana.
Non da meno è stata la tappa odierna di Brebbia con la 17^ edizione della blasonata e suggestiva ‘Stramulino’ dove ritrovo l’amico Davide Santambrogio che oggi gioca in casa. Gara di 10 chilometri circa che, dopo un giro di lancio per le vie cittadine della frazione Ronché, si svolge tra le colline e le strade nel paese e la frazione di Brebbia Superiore,lambendo nel suo sviluppo i comuni limitrofi.
Fortunatamente ho riassorbito abbastanza velocemente i fastidi alla caviglia accusati settimana scorsa per cui mi presento ai nastri di partenza ! … sì, seppur in una posizione abbastanza defilata proprio per evitare eventuali rischi … Col senno di poi una gara anomala condotta in maniera leggiadra dove avrei potuto osare qualcosa di più ! …
Parto nelle retrovie, deciso a tenere un ritmo blando ma costante, “per capirmi” !! Ebbene in effetti i primi 2 km mi riescono abbastanza bene devo dire anche se appena si attacca la parte boschiva io decido di … staccare (e un’atleta che mi si affianca che mi fa: ‘Eh, oggi è dura ! …’; “… Fosse solo oggi ! …” – rispondo io).
Ci dirigiamo verso la frazione di Brebbia Superiore dove campeggia la Casa di Cura per il giro di lancio: vale a dire che, invece di affrontare subito la ripida ascesa che conduce al culmine del borgo, imbocchiamo uno sterrato che ci reimmette sulle vie del paese e quindi a ripassare in zona partenza, affrontare un assaggio della parte collinare del percorso .. e dunque via ad attaccare la brusca via che risale a Brebbia Superiore . Se sinora l’impegno muscolare è stato relativo, ora si prende nuovamente in direzione della Casa di Riposo che domina la parte alta del paese girandoci attorno, e qui è più che necessario stringere i denti; breve discesa e via per la parte boschiva che si profila comunque impegnativa nel suo procedere poiché richiede continuità nel passo dell’astante. Dopo un breve passaggio per l’abitato, si incrocia la zona partenza della corsa di S.Rocco dirigendoci ancora verso la zona collinare del pese cui segue un lungo tratto in progressiva discesa (in un paio di punti anche un pò impegnativa devo dire).
Riguadagnamo l’asfalto, un lungo rettifilo che porta nelle vicinanze del parco acquatico e (finalmente) il ristoro.
Si rimane sulle strade cittadine che immettono sugli ultimi km. Ecco le suggestive campagne le quali ci portano a sconfinare momentaneamente verso Malgesso; si prendono ancora le strade di campagna risalendo al punto da dove va di scena a metà agosto la corsa dedicata a S. Rocco ; quindi di nuovo giù verso la sede stradale per affrontare l’ostica e impegnativa breve scalinata la quale immette sull’ultimo tratto boschivo e quindi al traguardo di giornata.
Quando ci accingiamo ad effettuare una qualsiasi ricerca su un browser – Google Chrome, Opera, Mozilla, Safari, …-, si tratti di un servizio o una certa attività, un prodotto piuttosto che una categoria di oggetti – il motore di ricerca prescelto ci restituisce una lista pressocché infinita di risultati, suddivisi in n pagine per ragioni di spazio, che prende il nome di SERP (Search Engine Results Page, “pagina dei risultati del motore di ricerca”, secondo Wikipedia).
Mettendosi dalla parte di ‘chi è dietro il bancone e si presenta, chi vende’ si tratta di una potenzialità non da poco (e praticamente irrinunciabile) il riuscire a posizionare il proprio sito, la propria attività o e-commerce nelle primissime posizioni di un elenco siffatto ! ….
Fare SEO (Search Engine Optimization) significa adottare tutto un insieme di tecniche, strategie e regole finalizzate a far avere al progetto web su cui si sta lavorando un risultato di visibilità in termini di SERP: ciò, va premesso, con un’oculata ragionevolezza in termini di tempo (a seconda infatti della competitività – ricorrenza nelle ricerche svolte – delle keywords adottate, il raggiungimento di un risultato in termini di ottimizzazione SEO varia da pochi giorni a qualche settimana, fino ad un anno o più se siamo dinanzi ad un’alta competitività delle stesse), adattando di pari passo il proprio “arsenale” in funzione dei tempi e del cambiamento delle metodologie.
Al concetto di SEO si affiancano quelli di SEM e Web Marketing, anche perché spesso i due termini vengono utilizzati (a sproposito) in modo intercambiabile da sedicenti esperti in materia; è invece importante sottolineare che si tratta di due metodologie ben distinte. La SEO comprende tutte quelle attività messe in atto da un professionista dei motori di ricerca allo scopo di migliorare il posizionamento delle pagine di un sito web sulle pagine dei risultati organici (anche detti risultati naturali) restituite dai motori di ricerca. Il Search Engine Marketing (SEM) indica l’insieme delle attività di web marketing – svolte per incrementare la visibilità e la rintracciabilità di un sito web attraverso i motori di ricerca, e di valutarne l’efficienza. Per Web Marketing si intende di conseguenza la varietà delle tecniche che possono essere adottate per raggiungere lo scopo di cui sopra.
Il concetto di SEO nasce attorno al 1995 quando venne introdotto un insieme di strategie finalizzate ad ottenere il miglior piazzamento per un sito, sotto il dominio incontrastato di Yahoo! come motore di ricerca. L’avvento di Google verso la fine degli anni Novanta comportò uno stravolgimento letterale per gli altri motori di ricerca in ambito SEO; inoltre, la crescente complessità degli algoritmi e l’evoluzione di motori di ricerca nascenti compromisero l’efficienza di quelli esistenti e per ciò essi persero grosse fette di mercato. Google inoltre lavorò e lavora attualmente all’aggiornamento del proprio algoritmo al fine di renderlo sempre più efficace, ciò al fine di averne la ‘leadership’: emanò, per mantenere il proprio monopolio sul settore, una sorta di decalogo regolamentare per i webmaster, un protocollo di comportamento per gli operatori.
SEO oggi significa adottare delle semplici regole che consentono ai motori di ricerca di comprendere l’argomento trattato dal sito/pagina e ai visitatori di trovare ciò che cercano.
E’ possibile condurre una campagna SEO fondamentalmente attraverso due metodologie: si tratta dell’OTTIMIZZAZIONE SEO ON PAGE e dell’OTTIMIZZAZIONE SEO OFF PAGE. Ognuna delle due tecniche prevede la necessità di dover operare su diversi parametri o adottare strategie. Senza scendere nei particolari se la prima, tassello fondamentale della SEO, concerne l’adattamento e l’adozione di determinati accorgimenti/componenti, la seconda riguarda tutto quell’insieme di strumenti che danno opportunità di far conoscere all’esterno il proprio sito ottenendo dei backlink (il fattore più importante per ottenere la migliore posizione possibile), i quali provengono dai segnali sociali: link tramite social network, i “Mi Piace”, i “Tweet”,…. Google interpreta i link verso il proprio sito (i backlink) come dei ‘punti’: più punti ottiene, più il sito è importante più Google lo premia con le prime posizioni.
(domenica 4 settembre)
Rientro al PdO dopo la pausa estiva: appuntamento a Taino che dopo tre anni di “assenza” quest’anno rientra ne calendario del circuito podistico, con la sua ‘Da l’ulmin a l’ulmin’, gara di 10 km. che in gran parte si sviluppa attraverso i boschi e le campagne limitrofe.
Col senno di poi, la tappa odierna si presenta come una delle più affascinanti come sviluppo ma altrettanto TOSTAAA per il profilo che impegna gli astanti per gran parte del suo itinere, costringendo gli stessi a mantenere una buona gamba (e conseguentemente fiato), senza tanti complimenti: è caratterizzata infatti da alcuni tratti di poche centinaia di metri decisamente “da rampeur”. Ed è proprio questa peculiarità di buona parte del tracciato proposto a renderla accattivante quanto basta per i palati più esigenti !!
Dopo un breve riscaldamento con la Lory per le viuzze del centro (al termine di cui sono già in acqua), partenza dalla centralissima piazza Pajetta e via per le vie cittadine, in progressiva discesa per uscire dal centro abitato e immettersi, nel giro di poche centinaia di metri, sui sentieri e la parte boschiva che la faranno da padrona: percorso che presenta alcune varianti che lo rendono ancora più ammaliante “da attaccare” e nervoso, e se ne ha subito prova con un primo tratto boschivo di 1 chilometro circa che progressivamente sale; qualche centinaia di metri di saliscendi sempre nel bosco, tempo di rifiatare, e si ricomincia ! … (PUFF!! PUFF!! …).
Si torna così nei pressi della zona di partenza dove è posta la deviazione fra i due percorsi: e noi fortunati dei 10 km ci dirigiamo verso una salita in ciottolato – “a terrazze”, verrebbe da dire – con pendenze non indifferenti fra il 12 e il 15 (Tainenberg – “muro di Taino”, si legge nelle cronache del ciclismo locale, preso in prestito per ricreare con altre rampe del Ticino-Olona una sorta di Fiandre varesino), recuperando così le case di Taino. Proseguendo poco dopo il 5° km si riguadagna poi l’asfalto; ci si ritrova ad affrontare un’altra salitella impegnativa che porta a toccare il secondo punto più alto di giornata, il quale accompagna verso un campo verdeggiante e quindi all’ultimo km interamente su asfalto.
Si giunge ai piedi della zona di partenza dove è posta l’ultima asperità di giornata: una breve ma altrettanto ostica salita spaccagambe che conduce agli ultimi 200 metri sul viale ombreggiato.
Un pò sconsolato in quanto capita la tipologia del fondo spesso avvallato e in diversi punti caratterizzato da sassi e radici, nonostante la dovuta attenzione, mi costa qualche risentimento alle caviglie ! .. per cui sin da subito procedo con circospezione per evitare il disastro (chiamato distorsione).