
La Stralugano è da sempre una manifestazione fortemente orientata verso il podismo amatoriale, al running rivolto alla massa, a tutti quelli che praticano questo sport per stare bene e questa sarà sempre la sua matrice e filosofia principale.
Rise the world – Vivi ogni giorno al meglio con i tuoi talenti
(lunedì 23 settembre)
Domenica 15 settembre è andata di scena, fra le palestre di Cuveglio e Gemonio, il primo atto del tradizionale torneo ‘SuLeMani’ organizzato dalla società di casa nostra PGS Blu Volley.
Nell’inedito format di due giorni differenti per lo svolgimento della manifestazione pensata quest’anno per u14 e u16, ieri il torneo era dedicato alla categoria under 16.
Archiviata la rinuncia dell’ultimo momento della giovanile della Yamamay per impegni casalinghi, cinque squadre si sono sfidate in un unico girone per la vittoria finale: Luino, Solaro, Senago, Castiglione Olona con la compagine ‘rossoblu’ (alias gialloblu, primordiali colori sociali) a fare gli onori di casa. La prima partita in programma a Cuveglio fa sorridere la squadra di casa che riesce a strappare un set alla forte formazione del Senago (25-24), mentre a Gemonio la squadra del Castiglione fa incetta di punti per la classifica contro Blu Volley e Luino . Fuori la squadra di Solaro, le finali del pomeriggio vedono di fonte Blu Volley e Luino nella finalina per il terzo posto (vinta da Luino 25-21, 25-14) e quindi Castiglione e Senago per aggiudicarsi il primo posto di giornata (rullo compressore di Senago, 13-25, 22-25).
Domenica 22 è stata invece la volta delle formazioni categoria under 14: ospiti di giornata le compagini di Pro Patria, Castellanzese, Luino, Senago e Castiglione O., suddivise in due gironi da tre fra le palestre di Caravate e Gemonio, quest’ultima sede delle due finali principali (l’ultima partita a Caravate, valevole per l’assegnazione del quinto posto, ha visto di fronte Senago e Blu Volley) Su ambo i campi sin dalle prime partite in programma il bel gioco non è mancato con le squadre di turno che spingevano fin da subito per ottenere la leadership di giornata e dunque garantirsi il miglior piazzamento di giornata per l’accesso alle finali in programma dal primo pomeriggio nella palestra di Gemonio. Per la cronaca, a Caravate le giovani della squadra di Castiglione Olona hanno imposto da subito il loro ritmo schiantando la solida compagine del Luino, scoprendo così le proprie ambizioni, sciorinando indubbiamente un bel gioco e presentando dei buoni elementi. Nulla da fare dunque per le avversarie che peraltro non hanno concesso nulla al loro gioco e pressing: le partite si sono giocate tutte punto a punto, ed è solo la determinazione dell’una o dell’altra che ha determinato il risultato finale. Meno ‘decifrabile’ per il suo epilogo era invece il quadro a Gemonio, con le squadre di Busto e di Castellanza a far da padrone nel girone (per entrambe infatti una vittoria e un sconfitta, con la Pro Patria che ha conquistato la leadership solamente per differenza punti sulla Castellanzese, e dunque l’accesso alla finalissima del pomeriggio con la prima del girone B – Castiglione -). Prima delle gare finali, erano in programma a Gemonio le due semifinali che incrociavano le prime due di ogni girone, quindi Luino contro Pro Patria e Castglione contro Castellanzese. La finale per il primo poto del tabellone ha indubbiamente offerto un bello spettacolo di pallavolo giovanile, con le due squadre in campo molto fluide e duttili nelle varie situazioni di gioco: approfittando di una prestazione “sopra le righe” dell’avversario nella mattinata, Pro Patria ha fatto suo il primo set abbastanza facilmente (25-13), mentre nel secondo pur essendo in vantaggio ha subito un importante rientro della compagine della Valle olona la quale però non è riuscita a giocare con la stessa scioltezza vista in mattinata e a finalizzare la rimonta (25-22).
“Tutti possono sbagliare.”
— Un riccio scendendo dalla spazzola
Con la varietà di dispositivi oggi in grado di accedere al web l’approccio responsive si sta rapidamente affermando come la strada da seguire per accontentare tutti: dal pendolare che naviga su iPhone al designer in ufficio davanti al desktop da 30″, passando per chi si rilassa sul divano di casa col tablet (e non è detto che si tratti di persone diverse).
Se da una parte confezionare esperienze fruibili “ovunque” rappresenta una necessità e una sfida, dall’altra introduce un nuovo strato di complessità e di potenziali errori in cui incappare, ma che possiamo evitare. Eccone alcuni:
Cosa fare con i contenuti che non stanno su uno schermo piccolo? Facile:
display: none;
Peccato che gli utenti non si aspettino una versione “lite” quando navigano su smartphone, anzi: la maggior parte si aspetta di poter fare le stesse cose che fa su desktop (ad esempio effettuare un acquisto) e più o meno negli stessi tempi.
Senza scordare che il contenuto nascosto via CSS viene comunque scaricato, incidendo sulle performance del sito. Il che ci porta al prossimo punto.
Una delle sfide del responsive design è garantire agli smartphone un’esperienza d’uso completa in tempi accettabili, anche in presenza di una lenta connessione 3G.
Cosa si intende per “tempi accettabili” per il caricamento di una pagina web? 3 secondi su desktop e 5 su mobile, stando a un’infografica di KISSmetrics.
Per iniziare:
E più in generale segui le indicazioni suggerite da Google e Yahoo.
Potremmo essere tentati dall’usare
<meta name="viewport" content="width=device-width, initial-scale=1, maximum-scale=1, user-scalable=no" />
disabilitando così la possibilità di ingrandire le nostre pagine.
Del resto gli utenti sono soliti zoomare i siti che non sono ottimizzati per il mobile, ma non è questo il caso di un buon sito responsive, giusto?
Responsive o meno, il fatto è che un utente potrebbe comunque voler ingrandire una porzione di pagina: per vedere un’immagine più dettagliatamente, cercare di selezionare del testo da copiare e incollare altrove, o per leggere una nota troppo piccola. Ecco perchè dovremmo lasciare piena libertà, preferendo questa dichiarazione alla precedente:
<meta name="viewport" content="width=device-width, initial-scale=1" />
320px, 480px, 568px, 768px, 1024px. Per citare solamente iPhone e iPad. Basta un’occhiata a screensiz.es per convincersi che regolare i nostri layout sulle dimensioni decise dai produttori di smartphone e tablet non è una via percorribile.
L’unica alternativa sostenibile è quella suggerita da Stephen Hay:
“Start with the small screen first, then expand until it looks like shit.
Time to insert a breakpoint!”
— Stephen Hay
Parti dal layout mobile, allarga la finestra del browser, inserisci un breakpoint e cambia/adatta un nuovo layout quando il precedente “si rompe”.
Sono indispensabili molti test e molta pazienza, ma è l’unico modo per assicurarsi che il tuo design si presenti bene non solo sui dispositivi di oggi, ma anche su quelli di domani.
Ricordati che ogni cosa “cliccabile” su smartphone e tablet dev’essere a misura di polpastrello. Non a caso nelle sue linee guida Apple raccomanda bottoni con dimensione minima di 44×44 pixel.
E non mettere i link testuali troppo vicini tra loro, o mio cugino (che ha le dita grosse) non ti perdonerà mai.
Responsive design significa andare in entrambe le direzioni: concentrati sul mobile, ma non dimenticarti che ci sono anche schermi da 30″.
La buona notizia è che non servono un Cinema Display o un Thunderbolt Display, basta il bookmarklet di Malte Wassermann.
E per favore, agenzie creative ancorate alla stampa, smettiamola di parlare di “fold” e di utenti che non scrollano.
Se gli utenti faticassero a scrollare, Apple e Amazon (per citare i primi grandi nomi che mi vengono in mente) non avrebbero pagine lunghe 10.000 o 25.000 pixel, no? Esatto, 25.000 pixel! Visita e misuraapple.com/it/iphone-5s/features per credere.
Si dice che il diavolo sta nei dettagli. Come le touch icon, icone da mostrare come scorciatoie negli home screen di smartphone e tablet.
Per i dispositivi iOS 7 (iPhone retina, iPad mini e 2, iPad retina) dobbiamo creare un set di 3 icone in formato png aventi le seguenti dimensioni: 120x120px, 76x76px e 152x152px.
Nell’head andremo a scrivere:
<!-- 120x120 per iPhone retina (iOS 7) --> <link rel="apple-touch-icon-precomposed" sizes="120x120" href="/icons/apple-touch-icon-120x120-precomposed.png" /> <!-- 76x76 per iPad non retina (iOS 7) --> <link rel="apple-touch-icon-precomposed" sizes="76x76" href="/icons/apple-touch-icon-76x76-precomposed.png" /> <!-- 152x152 per iPad retina (iOS 7) --> <link rel="apple-touch-icon-precomposed" sizes="152x152" href="/icons/apple-touch-icon-152x152-precomposed.png" />
E se non bastasse tutto questo codice proprietario:
<meta name="apple-mobile-web-app-title" content="Billy" />
Così puoi decidere il nome breve (massimo 12 caratteri) che accompagnerà la tua scintillante touch icon sugli home screen dei dispositivi iOS 7, evitando la troncatura automatica del title.
(articolo ripreso)
Tutti lo cercano, tutti lo chiedono, tutti lo vogliono. Il flat design è la parola d’ordine del 2013 per i designer e i creativi di tutto il mondo. Ma cos’è questo flat design?
Una moda? Un trend? Chiamatelo come vi pare, ma se navigate su internet o se guardate il logo di qualche giovane compagnia sicuramente l’avrete incontrato.
La stessa Apple ha da poco adottato questo stile per l’aggiornamento grafico del nuovo sistema operativo.
La traduzione letterale di flat design è “design piatto”. Si tratta infatti di un designsemplice, che non utilizza effetti tridimensionali quali ombre, gradienti etc… Le immagini sono spesso minimalie c’è una chiara distinzione fra i piani, che non si intersecano mai. Si contrappone aldesign scheumorfico, che invece fa abbondante uso degli espedienti grafici appena citati.
Il risultato è un’assoluta semplicità nella visualizzazione, che si traduzione in una facilità di comprensione e di leggibilità da parte degli utenti/spettatori.
NAIROBI – Turkana County, nord del Kenya. Proprio nella regione più critica dal punto di vista delle risorse naturali sono stati scoperti cinque bacini acquiferi, uno dei quali è grande quanto il Rhode Island. Si tratta di un potenziale enorme di approvvigionamento di risorse sotterranee che oltre a fornire acqua potabile, potrebbe essere utilizzato come fonte di irrigazione per le colture o di acqua per il bestiame. Siccità e malnutrizione sono le piaghe che affliggono la tormentata regione del Turkana; per l’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura: “Su una popolazione di circa 41 milioni di persone, 17 milioni di keniani non hanno accesso sufficiente all’acqua potabile e 28 milioni sono senza servizi igienici adeguati”. Dei cinque bacini due sono stati pienamente identificati e mappati mentre per gli altri tre mancano ancora dei dati.
“Questa ritrovata ricchezza d’acqua apre una porta verso un futuro più prospero per il popolo del Turkana e la nazione nel suo complesso”, ha detto Judi Wakhungu, segretario del Kenya per l’ambiente, l’acqua e le risorse naturali in una dichiarazione dell’Unesco. “Ora dobbiamo lavorare per esplorare ulteriormente queste risorse e tutelarle per le generazioni future”. I ritrovamenti sono stati frutto di una cooperazione tra il governo del Kenya e l’Unesco, con il sostegno finanziario del Giappone. Gretchen Kalonji, assistant director per le scienze naturali dell’Unesco, ha detto: “La scoperta dimostra chiaramente come la scienza e la tecnologia possono contribuire all’industrializzazione e la crescita economica e risolvere i veri problemi sociali come l’accesso all’acqua”.
La Radar Technologies International, la società di esplorazione di risorse naturali che ha effettuato le ricerche per conto delle Nazioni Unite, ha scoperto le falde acquifere con il sistema WATEX, la tecnologia di esplorazione spaziale che permette di localizzare l’acqua sotterranea con oltre il 94% di certezza e conosciuta per le sue capacità di mappatura rapida e su larga scala. E’ grazie alle tecnologie di “remote sensing” incrociata con dati rilevati sul territorio che ha permesso di individuare i bacini in poco tempo. Uno degli aspetti più importanti della conferma dell’esistenza dei bacini è che altri ne potrebbero essere individuati con le stesse tecniche. Il tesoro blu e segreto dell’Africa, un continente dalle ricchezze idrologiche ancora da scoprire, potrebbe essere presto portato alla luce.
(tratto da Repubblica.it)
E’ la stessa identica cosa. AJAX è una filosofia/tecnologia a se stante: che lo script lato server sia ASP, PHP o altro ancora non fa alcuna differenza.
Ecco due esempi di interazione tra ASP ed AJAX e PHP ed AJAX.
(tratto da Mrwebmaster.it)
AJAX si colloca come middleware all’interno di un’applicazione Web.
Un middleware è un software, tecnologia o linguaggio che, fine a se stesso non serve a nulla, ma consente all’applicazione principale di lavorare in un determinato modo.
AJAX può definirsi in senso lato “middleware”: AJAX è una filosofia che si pone al centro (quindi “middle”) della scena, tra utente ed applicazione, semplificando la vita allo sviluppatore e velocizzandola all’utente.
(tratto da Mrwebmaster.it)
No. AJAX non sostituirà alcun altro linguaggio, perchè AJAX non è propriamente un linguaggio!
AJAX è semplicemente una tecnica che coniuga diverse tecnologie (lato client e lato server) per ottenere i risultati di un processo di elaborazione del server gestendoli come se si trattasse di elaborazioni del client.
(tratto da Mrwebmaster.it)
(domenica 15 settembre)
La Russia delle donne di nuovo al vertice europeo, 12 anni dopo l’ultimo oro continentale della lunghissima era Karpol, e la Germania padrona di casa seconda. Dunque tutto normale, anche se il Belgio a sorpresa ha tolto il bronzo alla Serbia campione uscente? Bisogna essere prudenti a rispondere, perché l’anno post-olimpico spesso dà indicazioni difficili da leggere in prospettiva. Anche se non siamo più nell’epoca in cui il volley europeo era dominato dai Paesi del sistema comunista, alcuni dei quali (massimamente la Germania Est che pensionava le sue atlete già a 24-25 anni…) avevano come principio organizzativo il ricambio generazionale dopo i Giochi (quasi nessuna restava in nazionale oltre i 29 anni).
OCCASIONE PERSA -Questa volta è stata l’Italia a forzare in questo senso più di ogni altro Paese. E ha così rinunciato a una grande occasione per andare sul podio. Perché il livello complessivo è stato piuttosto basso. La domanda da farsi, in chiave italiana, è se valeva la pena forzare così il ringiovanimento non solo per quanto si è perso in questo Europeo (il bronzo del Belgio dovrebbe far riflettere…), ma anche per il fatto che siamo a un solo anno da un Mondiale in casa. Appuntamento che forse doveva suggerire maggiore prudenza.
BOMBER – L’Italia ha sprecato l’occasione di giocarsi al meglio le proprie chance in un Europeo in cui tante squadre si sono presentate con una sola giocatrice come vera uscita d’attacco. Skowronska per la Polonia, Havlickova per la Rep. Ceca, Brakocevic, bravissima, per la Serbia (che però aveva perso già alla prima partita Mihajlovic), Kozuch per la Germania, Darnel per la Turchia. E così anche Diouf per l’Italia. Il fatto che l’azzurra fosse stata la “cannoniera” del Grand Prix era in realtà un segnale di allarme: la squadra si è sempre dovuta affidare fin troppo a lei, che, per quanto forte in attacco, ha ancora dei limiti anche in questo fondamentale. C’era un’altra nazionale che, oltre alla Russia, aveva un buon numero di bocche da fuoco: la Bulgaria, che però è finita addirittura 13a.
SISTEMA DI GIOCO – Alla fine, la squadra col miglior sistema di gioco non è stata la Russia vincente e nemmeno la Germania finalista, bensì il sottovalutato Belgio che, anche approfittando delle disgrazie altrui, ha saputo conquistare il primo bronzo della storia. Trascinato sì da una bravissima Van Hecke, ma forte di un grande sistema di difesa e della ottima reattività di tutte le giocatrici (il libero Courtois, giustamente premiata), che mai si sono date per arrese. Un esempio di come si deve sviluppare la pallavolo femminile (meritatissimo quindi pure il premio al tecnico Vande Broek), anche se la squadra pareva avere qua e là testosterone in eccesso…
SOLITA RUSSIA – La grande applicazione tattica delle belghe è esattamente il contrario di quanto messo in mostra dalla pur vincente Russia, che quanto a sistema di gioco non è molto diversa da quella vista anche in passato. Muro molto temibile (spesso a 3: serve davvero? Ma il tecnico Marichev arriva dal settore maschile e si porta le sue abitudini…), attaccanti forti se non fortissime (Goncharova-Obmochaeva nelle vesti che furono gloriosamente indossate da martelloni come Gamova, Artamonova, Smirnova, Volkova e compagnia Karpoliana martellante), però difesa ai minimi. Quando Goncharova, Pasinkova o Kosheleva (mvp), vanno a schiacciare, tutte paiono dare per scontato che l’azione debba concludersi. Così anche la ricostruzione nasce spesso a fatica, nonostante venga ora usato più spesso che in passato il gioco al centro.
(tratto da Gazzetta.it)
In Inghilterra a Newcastle, in una giornata piovosa, si è corsa la più bella mezza maratona del 2013 con la fantastica sfida sui 21,097 km tra i tre miti del mezzofondo mondiale, Haile Gebrselassie, Kenenisa Bekele e Mo Farah e con la grande prestazione cronometrica di Priscah Jeptoo con il tempo di 1h05’45”, che a causa del dislivello del percorso non gli viene omologato come record del mondo e non migliora il primato mondiale di 1h05’50” della connazionale Mary Keitany ottenuto nel 2011. La 29enne atleta keniana, vice campionessa olimpica di maratona, ha superato due grandi stelle dell’atletica mondiale le etiopi Meseret Defar seconda in 1h06’09” e Tirunesh Dibaba terza in 1h06’56”. Mentre nella competizione maschile gara in solitaria per i tre favoriti, con Bekele che al 10° km ha anche perso il contatto dai due battistrada e con Gebrselassie molto attivo ad imporre il ritmo alla gara.. Però poi intorno al 14° km Bekele ha riagganciato i primi due ed addirittura negli ultimi 2 km ha approfittato di un tratto in discesa ed ha allungato deciso staccando i due compagni di fuga. Negli ultimi 400 metri Farah è partito con la sua ormai famosa volata e per poco non è riuscito a superare Bekele. Vittoria per Bekele in 1h00’09”, secondo Farah in 1h09’10” e terzo Gebrselassie in 1h00’41”. Alla 33^ edizione della Bupa Great North Run hanno partecipato oltre 56.000 atleti.
(tratto da Podisti.net)